Categorie
Geopolitica News

La guerra in Palestina

Le stele di Merenptah  al Museo del Cairo è ritenuto il documento extra-biblico più antico che attesta l' esistenza di Israele.
La Stele di Merenptah o Stele d’Israele è una stele di granito nero fatta erigere dal sovrano egizio Amenhotep III (regno circa 1387 a.C.-1348 a.C.) e modificata successivamente da Merenptah (regno circa 1213 a.C.-1203 a.C.). La stele riporta il resoconto di una vittoria militare contro i popoli Libu e Mashuash nell’attuale Libia. Nelle ultime righe è narrato l’esito vittorioso di una spedizione militare condotta da Merenptah verso la terra di Canaan. Tra i popoli e le città sconfitti viene elencato ysrỉr: Da molti studiosi moderni ysrỉr viene identificato con Israele. Si tratterebbe pertanto della prima testimonianza storica extrabiblica relativa al popolo ebraico.

Vorrei raccontare la mia opinione sulla guerra in Palestina. Si tratta dell’ opinione personale di un fiorentino, medico, di 75 anni, che mi sembra non trovare molto riscontro nella maggior parte dei commenti che si fanno su quella guerra e su quella terra martoriata.  Il fatto che ho 75 anni non è privo di significato, sono nato nello stesso mese in cui Israele si è auto-dichiarata stato indipendente, e in cui è esplosa così la conflittualità israelo-palestinese.

Il mio approccio cercherà di essere storico; quindi non sono interessato a capire chi ha ragione o torto, chi sta tra i buoni e chi tra i cattivi, ma soltanto a raccontare come si è arrivati al 7 ottobre e alla guerra in Palestina

La storia è, come tutti sappiamo, memoria (soggettiva, oggettiva) dei fatti. Fatti che sono avvenuti, in passato, non solo per delle cause, ma anche per degli scopi, sullo svilupparsi di tendenze e motivazioni, per raggiungere obbiettivi di civiltà o di potere. Insomma, i fatti della storia sono nel passato ma hanno un futuro, e quel futuro siamo noi.

Possiamo raccontare in una prospettiva storica (cioè di come il passato costruisce il proprio futuro) i protagonisti attuali delle guerra in Palestina?  

Cominciamo con Hamas

Hamas è una organizzazione terroristica, che negli anni si è impossessata del popolo palestinese a Gaza. Hamas nasce e prospera parallelamente a Netanyahu, dal 1995, dopo l’ assassinio di Rabin, in piazza dei Re di Israele, dove stava manifestando per gli accordi di Oslo ed il processo di riconoscimento reciproco in cantiere tra Israele ed i palestinesi di Arafat. 

Come ogni organizzazione terroristica, Hamas ha come obiettivo il terrore e l’odio che   consegue alle sue azioni. Per Hamas, l’ obiettivo principale e statutario è la distruzione di Israele. Un obiettivo equivalente è colpire il sentimento vitale degli israeliani, farli vivere nel terrore,  alimentare un odio così profondo che diventi trans-generazionale. Un odio incontrollabile tra i due popoli. L’odio è un sentimento profondo, che alberga da sempre in ogni essere umano. Esso ha avuto molta importanza nella storia dell’ umanità, delle culture e delle religioni, non inferiore a quello avuto dall’empatia, dalla condivisione e dalla solidarietà. Se si agisce sulle leve che possono rafforzarlo, l’odio si sviluppa come un riflesso condizionato. Nessun essere umano ne è immune. Se noi italiani vivessimo nelle condizioni in cui sono vissuti i palestinesi di Gaza fino ad oggi, con la limitazioni delle libertà che hanno subito da parte dei loro avversari, lo avremmo sviluppato anche noi. Ognuno odia il nemico con cui si confronta ogni giorno. Occorre uno sforzo grande, emotivo e di riflessione, per controllare questo odio. Un giornalista italiano che ha seguito la guerra in Ucraina, stando tra le truppe russe, raccontava che la paura gli veniva quando sentiva i missili ucraini sibilare sopra la sua testa, mentre non aveva alcuna percezione di quelli russi, che cadevano sulle città ucraine.  Non è questione di chi è nel giusto o nel torto. Dipende da chi provengono le minacce che ci gravano addosso. I continui attentati terroristici di Hamas, dal canto loro, hanno avuto lo scopo di alimentare l’odio reciproco degli israeliani  verso i palestinesi. La crescita della spirale dell’ odio è l’ obbiettivo di Hamas. Chi ha fatto qualcosa per interromperla nei decenni passati? Nessuno. Neppure i palestinesi stessi, che non hanno saputo organizzarsi in uno stato autonomo, con dei leader carismatici e rappresentativi, capaci di dialogo. L’ azione terribile, crudele ed odiosa di Hamas del 7 ottobre era un’ azione che mirava a ingigantire l’ odio reciproco. Forse il momento è stato scelto per bloccare l’ accordo in fase di definizione tra Israele e l’ Arabia saudita. Ma al di là dell’ obiettivo razionale del momento, quella azione è stata il giubileo dell’odio. Molti si chiedono se quella sia stata un’ azione suicida di Hamas, considerando che la reazione massiccia di Israele  era prevedibile, e che questa reazione avrebbe potuto distruggere Hamas e Gaza stessa. Non conosco la risposta a questa domanda, ma i terroristi come sappiamo tutti vanno a braccetto con le azioni suicide ed esaltano il martirio per la causa.

Veniamo a Netanyahu e al governo israeliano, da lui impersonato negli ultimi 27 anni. 

La stretta di mano tra Rabin e Arafat alla Casa Bianca nel 1993, sponsor il Presidente degli Stati Uniti Clinton
Yitzhak Rabin con Yāsser ʿArafāt e Bill Clinton il 13 settembre 1993

Netanyhau viene al potere nel 1996, poco dopo l’assassinio di Rabin, e sostanzialmente vi resta con alcuni intervalli fino ad oggi. La storia ci dice che le autorità israeliane, che in gran parte si identificano con la sua persona, hanno approvato modifiche dei loro ordinamenti che sottolineano sempre più il carattere ebraico dello stato di Israele.  In un’ottica fortemente identitaria, questo stato, nella sua legge fondamentale approvata nel 2018, diviene lo Stato-nazione del popolo ebraico, non uno Stato formato dai suoi cittadini, non uno Stato in cui più popoli convivono.    (AGI: Da stato democratico a stato ebraico). 

La politica espansiva delle autorità israeliane, inoltre, ha favorito l’infiltrazione continua dei coloni israeliani armati in Cisgiorndania, nonostante le raccomandazioni contrarie dei presidenti americani, da Obama a Biden. Inoltre, la nuova norma approvata dal parlamento israeliano stabilisce che in ogni accordo di pace, si dovrà prevedere che Gerusalemme sia la capitale di Israele, e che la sede del governo di Israele rimanga a Gerusalemme. Gerusalemme, con il cosi detto miglio sacro, che comprende il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee e il Santo Sepolcro, viene indicata così come capitale indivisa di Israele, a dispetto di tutte le precedenti carte dell’ ONU che prevedono una Gerusalemme a statuto speciale.  Infine, dopo il 7 ottobre, Netanyahu ha colto l’ occasione per mostrare qual è il futuro che vuole a qualunque costo, cioè dare a Israele il territorio che le spetta per storia e destino, l’ intera Palestina. Netanyahu, nella prospettiva storica, non è semplicemente il capo di un governo, è un soldato-profeta, che resterà nei libri di storia per avere compiuto il destino di Israele. Questa è la sua missione. Le mire espansionistiche di Netanyhau sono ormai dichiarate apertamente da lui stesso.

Gli ostaggi, che destino li aspetta?

Gli ostaggi nelle mani di Hamas e degli altri gruppi terroristici sono lì per mantenere vivo il terrore e l’ odio. Un terrore e un odio che non è astratto, verso simboli e bandiere, ma che si incarna in persone innocenti, vecchi e bambini, privati della libertà e la  cui vita è adesso nelle mani dei rapitori. Difficilmente, i terroristi che tengono prigionieri gli ostaggi li liberanno senza averne vantaggi importanti, per esempio la liberazione  dei numerosi palestinesi tenuti prigionieri in Israele, oppure per ottenere una via di fuga per i principali leader dei terroristi, qualora le cose si mettessero male per loro. Questo spiega anche perchè Netanyahu continua nella sua invasione di Gaza, apparentemente incurante degli ostaggi, perchè sa che gli ostaggi sono nelle mani dei terroristi sopratutto come scudo contro di lui. Ovviamente questo non vuol dire che il capo del governo israeliano sia insensibile al destino degli ostaggi. Netanyahu sarebbe ben felice di poterli liberare con l’ azione militare, ma, a conti fatti,, per lui il piano, diciamo così, umanitario della liberazione degli ostaggi viene dopo il piano della occupazione e della presa di controllo su Gaza.  

Il comportamento dei paesi occidentali qual è? 

Noi occidentali siamo alleati storici degli israeliani, perché Israele è la testa di ponte  del mondo occidentale in quella regione calda e strategica, e per i ben noti trascorsi della persecuzione degli ebrei avvenuta in Germania e non solo, in Europa. Biden tira Netanyahu per la giacca, ricordandogli i suoi doveri morali, e l’ importanza di  un cessate il fuoco umanitario. Si tratta in tutta evidenza di una messa in scena. Infatti, mentre  Biden e  Blinken, il suo ministro degli esteri, chiedono un cessate il fuoco umanitario, nello stesso tempo bloccano più volte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ ONU che chiede ai due contendenti, Israele e Hamas, di cessare immediatamente il conflitto. In questa maniera , gli USA paralizzano il potere di intervento dell’ ONU  e, come se non bastasse, danno miliardi a Israele per comprare e costruire armi, sostenendo così   la guerra e l’invasione di Gaza. Come tutti sanno, le possibilità di Biden di vincere le prossime elezioni di novembre sarebbero significativamente ridotte se lui prendesse adesso una posizione forte per fermare Israele. L’Europa si sta lentamente muovendo da un sostegno incondizionato a Israele subito dopo il 7 ottobre, verso una posizione più cauta e equilibrata, in cui chiede a Israele di fermarsi per motivi umanitari, reptando ad oggi la risposta di Israele eccessiva. Da notare che l’ insistere sacrosanto sui motivi umanitari da parte degli europei, compreso il governo italiano, avviene dopo l’uccisione di oltre 25.000 palestinesi, di cui una gran parte bambini, e dopo  che si sono accumulati milioni di sfollati in una ristretta zona di Gaza vicino al confine con l’Egitto. Questa zona è inoltre a rischio di essere bombardata a breve dall’ esercito israeliano, secondo i piani dichiarati da Netanyahu.  I paesi europei continuano a chiedere a Israele e ai palestinesi (a quale autorità palestinese di fatto?)  di fare passi significativi verso il riconoscimento reciproco, secondo le linee della politica così detta  dei due popoli e due stati in Palestina. Ma perché due popoli e due stati convivano in vicinanza, occorre che tutti e due abbiano un territorio. Dov’è attualmente il territorio dei palestinesi? La Cisgiordania è affettata dall’invasione dei coloni ebrei, Gaza è distrutta, ed entrambe sono circondate da mura a controllo israeliano. In occidente, si sta sviluppando un movimento pro-Palestina che è di tipo romantico (sostegno del debole contro l’ aggressore) e poco conta per adesso  nel crogiuolo della storia. Questo movimento  è accusato talvolta di antisemitismo.   Anche se persone e organizzazioni con idee antisemite possono agganciarsi o addirittura manipolare questi movimenti pro-Palestina, è del tutto privo di ragione interpretare la nascita e il diffondersi di questi movimenti come espressione di antisemitismo. La guerra in Palestina è prima di tutto guerra per il territorio. Certo, è anche uno scontro tra due popoli, due culture, due religioni. Ma questo scontro, a mio avviso, è prima di tutto uno scontro per il territorio, anche se bisogna riconoscere che sia l’antiebraismo che l’islamofobia prosperano come parassiti insaziabili in questi contesti.  Tra l’ altro, credo che si dovrebbe stare attenti alle parole. Alcuni sostengono che la parola  antisemitismo, coniata  nel settembre 1879, a Berlino, da parte del nazionalista Wilhelm Marr, nello scritto La strada verso la vittoria del Germanismo sul Giudaismo, in realtà sia usata in modo inappropriato, visto che  dal punto di vista etimologico non vuol dire antiebraismo, ma avversione verso le lingue semitiche, quindi sia verso la lingua ebraica che verso le lingue arabe.  Qualcuno ha paragonato lo sterminio dei palestinesi a Gaza ad un genocidio, rievocando così la ferocia del nazismo. Credo che questo paragone alla luce della storia sia discutibile. Hitler faceva dello sterminio degli ebrei un punto di forza del suo regime, era necessario avere una nemico interno per soddisfare i sentimenti di odio scatenati dalla cultura nazista. Per Netanyahu, se i palestinesi se ne andassero dalla Palestina e la lasciassero a Israele, non ci sarebbe alcun motivo di odiarli. Lui non ce l’ ha con i palestinesi in quanto tali, ma solo con i palestinesi che stanno in Palestina (!). D’ altra parte, con che faccia noi occidentali, e in particolare gli USA, possiamo redarguire Netanyahu che fa strage di civili a Gaza, nel suo obiettivo di eradicare Hamas occupando lui stesso l’intera Palestina? Le bombe atomiche sono state sganciate su Hiroshima e Nagasaki considerando che le morti dei civili che ne sarebbero conseguite erano il prezzo da pagare per far cessare subito il conflitto in Giappone, così risparmiando molte altre vite.  Come abbiamo visto nel film di Nolan, Oppenheimer,  quando il presidente degli Stati Uniti, Truman, riceve lo scienziato, che aveva costruito la bomba  atomica e si accorge che  questi era  in preda ai rimorsi,  non esita a mandarlo via con sprezzo, affermando che il sangue delle vittime grondava dalle sue mani, e non da quelle di Oppenheimer.  

E i paesi arabi?

I Palestinesi non sono ostaggio solo di Israele e del suo governo. Essi sono anche ostaggio dei paesi arabi dell’ area, il cui atteggiamento è assai diversificato e volubile. Alcuni come il Qatar sostengono Hamas e lo finanziano. Altri si limitano a spalleggiare la strategia di odio di Hamas, senza però intervenire direttamente nella guerra, come l’ Iran. Altri ancora hanno fatto o hanno in progetto accordi unilaterali con Israele, come l’Egitto e l’Arabia Saudita (almeno prima del 7 ottobre).

Su una cosa però sono tutti d’accordo. Nessuno vuole i profughi palestinesi sul proprio territorio, per evitare che il terrorismo si nasconda tra i profughi, o che questi, arrivando in massa, creino uno stato nello stato, come era successo in Giordania,   cosa che portò alla repressione giordana (con l’ aiuto dell’ aviazione israeliana) nel settembre 1970 (Settembre Nero)    

Quindi, quale futuro riserva la storia al popolo palestinese? 

Proseguirà il suo martirio negli anni avvenire?.Riuscirà a affrancarsi dalle oppressioni del martirio e del terrorismo? Questo non è ancora scritto. Tutto il contesto gioca a suo sfavore, e lo stesso popolo palestinese finora non ha trovato unità, chiarezza di intenti, strategie adeguate e neppure leader rappresentativi per potersi riappropriare del propio destino.

Vorrei salutare il mio paziente lettore con un aneddoto. 

Nel 1930, alcuni importanti membri del movimento sionista a Vienna contattarono l’ebreo ateo Sigmund Freud, per proporgli di sostenere la causa sionista. La risposta, disarmata e disarmante, del vecchio Freud fu:  “Io non penso che la Palestina possa mai diventare uno stato ebraico, né che i mondi cristiano e islamico diventino mai accondiscendenti ad avere i loro Luoghi Santi sotto la cura degli ebrei. Mi sembrerebbe più sensato stabilire una patria per gli ebrei in una terra meno caricata di storia. Ma so bene che questo punto di vista razionale non avrà mai l’ entusiasmo delle masse e nemmeno il supporto finanziario dei ricchi.” Andrew Nagorski Saving Freud A life in Vienna and an escape to freedom in London, Icon Books , 2023.

25 febbraio 2024

Walter Borsini

PS Non sono uno storico di professione. Mi scuso per inesattezze e ringrazierò chiunque in forma civile voglia segnalarmele. Opinioni diverse e odio reciproco non sono la stessa cosa. 

Documentazione più approfondita su questi temi si trova in  peopleandneuroscience.eu, che ripropone anche, nel blog, una breve storia del sionismo, cioè del movimento che dalla fine del XIX secolo ha operato per ricostituire lo stato ebraico, la terra di Israele in Palestina. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EMAIL