In molte guerre, l’ odio è il principale ostacolo nel cammino verso la pace
L’ idea del Festival di Limes è che una guerra dovrebbe avere degli obiettivi necessari, ben definiti e realistici.
La visione razionale della guerra che sottosta a questa idea è quella che ci viene da decenni di pace in Europa e più ancora da un’ altra idea di più ampio respiro, quella che la storia dell’ umanità, pur con errori e deviazioni, sia sottesa da una inevitabile evoluzione culturale verso ciò che è civile e pacifico, verso forme migliori di organizzazione e relazioni sociali, verso valori condivisibili come la realizzazione dei diritti individuali nel contesto di stati protettivi e ragionevoli. In effetti, questa è stata l’esperienza prevalente negli Stati occidentali, dalla seconda metà del secolo scorso fino ad oggi. Seppure con frenate e sbandamenti, nella storia sembra realizzarsi il destino mideale dell’ umanità.
Tuttavia, basta guardare altrove, ad esempio in America Latina o in Africa e Asia per capire che le cose non sono così lineari. E negli ultimi anni non sono più così lineari neppure in Europa.
Se guardiamo un pò più indietro, dall’inizio del secolo scorso a tempi più remoti, lo scenario che ci appare non è certo quello di guerre razionali. La maggior parte delle guerre che sono state combattute nei secoli o nei millenni passati ci mostrano assai spesso l’irrazionalità della guerra. Pensiamo ad esempio all’ascesa di Hitler in Germania o alle bombe atomiche su Iroshima e Nagasaki.
E’ facile rendersi conto che le guerre insorgono sulla base dell’intreccio di diversi tipi di motivazioni. Voglio dire che occorrono più motivazioni inestricabilmente intrecciate tra loro per far scattare una guerra. Una è quella economica(mi servono le tue risorse), un’altra è quella della patria, della terra (un popolo ha bisogno della sua terra come qualunque cittadino della sua casa), un’altra ancora è quella delle armi e della potenza (io sono più forte di te, e quindi ti assoggetto con la paura o la forza), e infine l’ ultima, che a mio avviso non manca mai, ed è spesso scotomizzata, è l’odio (razziale, religioso, di stirpe, per costumi e ideologie diverse, per vendetta). Una guerra insorge, credo, sopratutto quando tutte queste quattro motivazioni sono presenti contemporanemante.
I nazisti di Hitler hanno voluto la guerra e provocata la deflagrazione della seconda guerra mondiale; seppure, inizialmente, c’erano rivendicazioni economiche e territoriali da parte dei tedeschi, sconfitti nella guerra del 1915-1918, la motivazione dell’odio è stata fortissima, nell’ascesa di Hitler al potere, nella creazione del nemico fantoccio (gli ebrei) e nella ferocia fanatica con cui la guerra stessa è stata condotta. Alla fine, questaferocia fanatica è stata la causa della sconfitta stessa del nazismo.
L’ odio è una forza, spesso sottovalutata, che può far deflagrare una guerra e sopratutto naufragare qualsiasi iniziativa di porle fine.
Contrapponendosi al nazismo, sicuramente gli alleati hanno svolto in Europa una guerra necessaria, con un obiettivo definito, con armi potentissime e innovative. Credo si possa dire, una guerra non motivata dall’odio. Ciò nonostante dobbiamo pure chiedersi se l’odio non abbia fatto capolino anche tra gli americani, quando fu presa la decisione di sganciare le bombe atomiche sul Giappone, che qualcosa di simile, quanto a ferocia ma con armi molto meno potenti, aveva fatto a Pearl Harbour
Le quattro motivazioni (economica, terra e patria, armi e potenza, odio) sono attivi insieme da sempre nella storia dell’ umanità. Immaginiamo di andare indietro agli albori della nostra civiltà. Supponiamo che un popolo di giovani adulti, in crescita demografica e in migrazione alla ricerca di maggiori risorse, che chiamiamo popolo A, arrivi presso le coste di un mare pescoso. Qui vive un’ altra popolazione, dedita alla pesca e poco armata, che chiamiamo popolo B; il popolo A non ha terreni per la pesca, ma ha delle armi nuove, archi e frecce. Può uccidere da lontano, senza neppure essere visto. Possiamo immaginare cosa sta per succedere. Il popolo di pescatori è sterminato con le frecce, i loro terreni e le attrezzature sono prese dagli aggressori, le donne sono violentate, e i prigionieri schiavizzati o selvaggiamente torturati, anche quando, una volta sconfitti, non costituiscono pià un pericolo
La guerra, sulla spinta dell’ odio, si trascina dietro spesso l’idea non solo della vittoria ma anche quella dello sterminio fisico, morale e culturale dei perdenti. E spesso questo atteggiamento è reciproco nei due campi che si fronteggiano.
Certamente la storia dei due popoli poteva andare diversamente. Ad esempio, l’ integrazione tra i due popoli poteva avvenire pacificamente, magari in tempi molto più lunghi. Ci sono alternative alla guerra e alla ferocia, ma può non essere affatto facile trovarle e seguirle. E l’ odio rende queste alternative indisponibili.
E’ indubbio che situazioni di conflitto come quelle descritte qui, o più in generale come quelle che si presentano e si presenteranno ancora nella storia, potrebbero essere affrontate con strategie diverse da quella descritta poco sopra. Ma bisogna considerare che tutto insegna che i meccanismi descritti (odio, potenza, armi, possesso della terra, ideologia e patria, bisogno di risorse) fanno parte della nostra storia, sono iscritti nel nostro DNA, o almeno nelle nostre menti e nei nostri corpi, ma non in senso figurato. Piuttosto in senso letterale, perché ce li ha inscritti l’evoluzione naturale e poi sono stati rinforzati dalla nostra storia stessa.
La trasformazione di queste strutture psico-comportamentali può avvenire in tempi lunghi, grazie ai valori della civiltà moderna, ma a tutt’oggi queste strutture mentali caratterizzano sia la disposizione mentale di singoli individui, che quella di interi popoli e dei loro governi.
Prendiamo un esempio, riferendoci alla guerra in Medio Oriente.
E’ evidente che l’odio, in quella regione, è forse la causa prima della guerra e delle stragi terroristiche. L’odio è l’ arma di Hamas. Hamas è una organizzazione terroristica che usa tutte le potenzialità dell’odio, e che punta a generare persino un odio trans-generazionale, che si trasmetta tra le generazioni. Lo ha fatto con l’ attacco del 7 ottobre, esibendo crudeltà contro donne inermi e i bambini ebrei; lo ha fatto con i rapimenti degli ostaggi, che verosimilmente non ha mai inteso restituire, perché li ha rapiti sopratutto per mantenere acceso l’odio tra israeliani e palestinesi e magari anche per usarli come scudo qualora qualche capo supremo di Hamas ne avesse bisogno per salvarsi la vita.
Se le cose stanno così, appaiono ignobili messe in scena le continue notizie sulle trattative in Qatar, che tra l’ altro finiscono per dare una patente di onorabilità alla organizzazione di Hamas (peraltro non apertmante sconfessata neppure dall’ ONU, a mia conoscenza). Anche l’ ONU, che pure ha condannato l’ attacco del 7 ottobre, ha preferito non di rado nelle sue determinazioni non pronunciarsi sul terrorismo di Hamas.
La crescita dell’odio tra i due popoli, israeliano e palestinese, per Hamas giova alla sua causa. Anche al caro prezzo di decine di meiglia di palestinesi uccisi dall’ esercito israeliano nell’ operazione di Gaza.
L’odio, insieme alle idea di patria per diritto divino, di terra degli ebrei, ha spinto Israele, guidata da Netanyahu, a invadere Gaza. Anche in passato, lo stato di Israele, specie negli ultimi venticinque anni che hanno visto quasi sempre al potere Benjamin Netanyahu, ha mostrato volontà di espansione territoriale nella martoriata terra di Palestina, in particolare attraverso la colonizzazione selvaggia della Cisgiordania. In pratica , Israele, non si è mai fermata dinanzi a passi e decisioni che avrebbero fomentato l’ odio tra i due popoli (Israele come stato ebraico, Gerusalemme capitale di Israele, colonizzazione della Cisgiordania e ghettizzazione di entrambe le “enclave”)
I mass media ci presentano Netanyahu come un debole in patria, che paradossalmente, vediamo ogni giorno in TV, ha la forza ordinare la guerra (l’esercito gli obbedisce e uccide 40000 palestinesi, di cui gran parte civili, donne, bambini e malati). Netanyahu, io credo, non è debole, specie agli occhi degli israeliani intransigenti; lui si sente di avere una missione da compiere. E’ un profeta armato, che con questa guerra sanguinaria passerà alla storia come colui che ha ridato la terra di Palestina agli ebrei. Non gli importa cosa succederà dopo. Lui ha questa missione da compiere e dopo si rimetterà nelle mani di Dio.
Cosa hanno fatto intanto gli americani? Per diversi motivi (tra cui la speranza di condizionare Israele e nello stesso tempo mantenere il favore della potente comunità degli ebrei americani), l’amministrazione americana ha fatto finta di tirare per la giacchetta il governo israeliano, facendo appello a motivi umanitari e al rispetto dei civili, ma nello stesso tempo foraggiando Israele di armi. Solo in questi giorni , gli USA hanno sospeso la fornitura di armi a Israele, come ultimo tentativo di pressione per evitare l’invasione di Rafah. Di fatto, l’Occidente è schierato con Israele, ancor prima del maggio 1948, quando Israele si è autoproclamato stato, con il tacito beneplacito dei paesi occidentali. Israele è, o era ritenuta essere finora, la testa di ponte dell’Occidente in Medio Oriente. Poche voci avevano messo in guardia in Europa, verso i pericoli della creazione di uno stato a impronta religiosa in Palestina. Nel 1930, Sigmund Freud, ebreo , orgoglioso della sua cultura ebrea, ma ateo, per sua stessa dichiarazione, fu richiesto dai sionisti di unirsi a loro nel sostenere la causa di una casa per gli Ebrei in Palestina. Il vecchio Freud rispose: “Io non penso che la Palestina possa mai diventare uno stato ebraico, né che i mondi cristiano e islamico diventino mai accondiscendenti ad avere i loro Luoghi Santi sotto la cura degli ebrei. Mi sembrerebbe più sensato stabilire una patria per gli ebrei in una terra meno caricata di storia. Ma so bene che questo punto di vista razionale non avrà mai l’ entusiasmo delle masse e nemmeno il supporto finanziario dei ricchi.” Andrew Nagorski Saving Freud A life in Vienna and an escape to freedom in London, Icon Books , 2023.
I palestinesi sono vittime più volte, oppressi e ignorati da tutti in questa guerra. E’ ovvio che se gli israeliani sparano sui palestinesi e li uccidono, questi ultimi odieranno gli israeliani, almeno quanto gli israeliani odiano i palestinesi di Hamas che hanno sparato su di loro il 7 ottobre scorso. Tuttavia, i palestinesi hanno responsabilità gravi nella situazione generatasi nella loro terra, a partire dal rifiutare ab inizio ogni trattativa con Israele. Inoltre, i palestinesi non hanno saputo scrollarsi di dosso il giogo di Hamas e esprimere leader capaci di creare un vero propio stato palestinese. Non che questo fosse facile. Basta ricordare per quanto tempo le dittature nazista e fascista hanno soggiogato i popoli dell’ Europa, impedendo le manifestazioni di opposizione e dissenso con violenza, esili, carcere e uccisioni. I palestinesi si trovano in una situazione simile, ma finché non capiranno che solo organizzandosi come popolo e come stato, fondato non sull’ odio ma sul diritto alla loro esistenza libera, essi saranno trattati da tutti gli altri con un peso e un pericolo.
Un’ altra caratteristica che si osserva nella guerra in Medio Oriente è che gli stati arabi e musulmani della regione sono tra loro divisi su molte cose, ma nella sostanza si distinguono tra quelli che sostengono, in modo sia pure variamente diversificato, Hamas (Turchia, Iran, Qatar) e quelli che avversano Hamas (Giordania e Egitto). Sta di fatto, però, che nessun di loro è disposto in questo caos ad accogliere sul proprio terreno i profughi palestinesi e, al momento, nemmeno a impegnarsi in prima persona per favorire la nascita di un governo palestinese autonomo (è bene che i palestinesi e Hamas rimangano in terra di Palestina, anche se qui muiono di fame e sotto le bombe dell’ esercito israeliano)
Mentre il ruolo delle varie parti sullo scenario, sembra facilmente comprensibile (anche se i media ignorano alcuni degli aspetti sopraricordati, come le ambizioni di profeta armato di Netanyahu, l’ importanza dell’ odio reciproco in tutta la vicenda, e l’ impotenza del civile occidente), è decisamente difficile trovare delle soluzioni per uscire dal groviglio inestricabile della guerra.
Se Netanyahu vincerà, la Palestina sarà degli ebrei (prima o poi seguirà anche la Cisgiordania) e i milioni di profughi palestinesi diventeranno un problema per la comunità internazionale…. Se Netanyahu sarà fermato in maniera decisa, non solo sul campo di battaglia ma anche in patria mettendo fine alle sue ambizioni di ridare l’intera Palestina agli ebrei e fermando l’ ondata colonizzatrice in Cisgiordania, allora si potrà forse ricostruire la Palestina come una terra con due popoli e due stati, confinanti tra loro e conviventi. Ma questo ultimo sarà un processo lungo (decenni) e pieno di pericoli, che dovrà essere imposto da una forza multinazionale e che non può esimersi dal favorire la nascita di uno stato palestinese. Quest’ ultimo avrà qualche possibilità di successo, solo se sarà guidato da una forte leadership palestinese, libera ed aperta al dialogo internazionale.
Walter Borsini 8 maggio 2024