Linea guida pratiche per la diagnosi e il trattamento della fibromialgia

Società Italiana di Reumatologia.

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Si tratta di un adattamento alla pratica clinica italiana di linee guida per la pratica clinica internazionale.

The Italian Society for Rheumatology clinical practice guidelines for the diagnosis and management of fibromyalgia Best practices based on current scientific evidence.

Ariani A, Bazzichi L, Sarzi-Puttini P, Salaffi F, Manara M, Prevete I, Bortoluzzi A, Carrara G, Scirè CA, Ughi N, Parisi S.Reumatismo. 2021 Aug 3;73(2):89-105. doi:10.4081/reumatismo.2021.1362.PMID: 34342210 Free article.

La fibromialgia è definita come una sindrome da sensibilizzazione  centrale caratterizzata da disfunzione dei neurocicrcuiti che riconoscono, trasmettono ed elaborano stimoli nocicettivi, ; la prevalente manifestazione è il dolore muscoloscheletrico. In addizione al dolore ci sono molti sintomi di accompagnamento, in comune con altre sindromi algo-disfunzionali, che consistono in un ampio spettro  di manifestazioni somatiche, neurocognitive e neurovegetative.  Un approccio basato sull’ evidenza può migliorare il decorso individuale e ridurre il carico di disabilità e il bisogno di supporto sociale e assisteniale.

Raccomandazioni:

  1. Approccio graduato in base alla severità del quaro clinico e del decorso, che va da una gestione di primo livello, nei casi più semplici, che possono essere gestiti anche a livello di medicina di famiglia, a una gestione complessa multidisciplinare e anche basata su gruppi di supporto nei casi più severi e difficili
  2. Nel trattamento attenzione a bilanciare effetti positivi e potenziali effetti negativi: Procedere per obiettivi di miglioramenti graduali nel tempo
  3. La sintomatologia dolorosa diffusa deve durare da almeno 3 mesi, in assenza di altre cause e con una obiettività somatica, sostanzialmente negativa. Il concetto di tender points  può aiutare ma in una visione complessiva del paziente. In sé ha scarso significato per defire una diagnosi di fibromialgia
  4. Oltre al dolore sono frequenti disturbi del sonno, disturbi neurocognitivi, affaticabilità, disturbi affettivi , simil a quelli che possono comparire in altre condizioni cliniche
  5. La fibromialgia è una diagnosi clinica, in assenza di un marker obiettivo specifico
  6. Il paziente dovrebbe essere consapevole che i sintomi derivano da alterazioni funzionali, a cui non corrispondono anomalie strutturali o lesionali. La sintomatologia pertanto può variare molto nello stesso paziente da momento a momento
  7. Il farmaco di primo livello resta la tachipirina. Gli oppiodi devono essere riservati alle forme severe, e sempre sottratti nei periodi in cui il paziente è asintomatico Altri farmaci che possono essere usati sono la pregabalina, la paroxetina, la duloxetina, l’ amitriptilina, e la cyclobenzaprine (quest’ ultimo è un miorilassante centrale)
  8. Terapie di supporto possono aiutare , specie nei casi più severi. Esse si basano sul rinforzo dell’ autostima, della consapevolezza di sé e del proprio corpo. Possono includere anche agopuntura, programmi di riduzione dello stress e anche ipnosi
  9. Nei casi di severità media è avanzata è importnate un sostegno psicoterapico, eventualmente esteso anche al contesto familiare. Talvolta nelle situazioni più gravi il sostegno psicoterapeutico può essere rifiutato dal paziente stesso, alla ricerca di una spiegazione fisica e di un trattamento rapidamente risolutivo dei suoi problemi
  10. Necessario un follow up attento e cauto nelle fasi iniziali di malattia. Nei casi severi e nelle fasi avanzate il follow up può durare a lungo e anche basarsi su contatti frequenti con il paziente (26 settembre 2021)

2 risposte su “Linea guida pratiche per la diagnosi e il trattamento della fibromialgia”

Buongiorno, sono affetta da fibromialgia ma, non solo quella, dal 2015. E’ vero, la fibromialgia è una sindrome complessa, difficile ma il sintomo principale è il DOLORE. Poi, tanti altri, l’elenco è lungo, si contano più di 200 sintomi legati alla fibromailgia ma, ripeto quello principale è questo DOLORE. Mi chiedo perchè, in attesa che la scienza dia una risposta sull’insorgere della malattia, sull’eventuale cura e trattamento, per il bene e il rispetto dei malati che ne soffrono non venga riconosciuta e inserita nei LEA, proprio per il suo sintomo principale : il dolore cronico. Perchè scrivo questo? PERCHE’ TRA TANTE COSE CHE PROPONGONO LE ASSOCIAZIONI ( DIO ME NE SCANSI) E ALTRI, NON SI TIENE CONTO DEI PROBLEMI CHE UN DOLORE CRONICO INFLUISCA NEGATIVAMENTE SUL MALATO.
Quando si parla di gestione e trattamento del dolore cronico bisogna partire dall’inizio, semplicemente perché è necessario sapere se hai una diagnosi e che cos’è il dolore cronico.
L’ Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) definisce il dolore cronico come: “Dolore che si estende oltre il periodo di guarigione dei tessuti e/o con bassi livelli di patologia identificata che non sono sufficienti a spiegare la presenza e/o l’entità del dolore e persiste da più di tre mesi”
Abbiamo anche bisogno di conoscere la nuova classificazione del dolore secondo l’ultima Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), che delinea il dolore cronico primario e il dolore secondario cronico.
Il dolore secondario cronico è suddiviso in sei sotto categorie: dolore cronico correlato al cancro, dolore cronico post-chirurgico o post-traumatico, dolore neuropatico cronico, cefalea secondaria cronica o dolore oro-facciale, dolore viscerale secondario cronico e dolore muscoloscheletrico secondario cronico.
Continua a essere difficile per un professionista sanitario diagnosticare il dolore cronico, poiché non ci sono strumenti facili a portata di mano per farlo. Controlli di routine come la pressione sanguigna, l’analisi del sangue, i raggi X o le risonanze non mostrano l’esistenza di dolore cronico. Non è disponibile alcun test semplice. Qui abbiamo il primo ostacolo: non ci sono criteri per stabilire l’esistenza del dolore cronico.
Secondo un’indagine condotta da Pain Alliance Europe (PAE) nel 2017 sulla diagnosi e il trattamento di 3.490 pazienti provenienti da 17 paesi europei, questo è un grave problema. Uno su cinque ha affermato di aver dovuto aspettare oltre 10 anni per ottenere una diagnosi. Questo ritardo è stato contato a partire dalla prima volta che hanno fatto con uno specialista sanitario. Quasi sette su 10 hanno dovuto aspettare più di 12 mesi per avere una diagnosi.
Tenendo presente i criteri dell’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore IASP, i pazienti con dolore cronico di lunga data hanno convissuto con il dolore ben prima ancora di avere una diagnosi. Un ulteriore punto negativo è il fatto che le persone con dolore cronico di solito aspettano troppo a lungo prima di recarsi dai medici per i loro disturbi del dolore. Molte persone si auto convincono di non cercare aiuto, alimentate dallo stigma che circonda il dolore cronico. Pensano: ‘Sto invecchiando quindi è del tutto normale un po’ di dolore’;
“Non voglio disturbare nessuno, persevererò;
“Mi riposerò, farò di meno e passerà”;
“Non posso andare dal dottore ogni volta che mi fa male qualcosa?”
“Nessuno capisce cosa sto passando”.
Poiché il dolore e il dolore cronico sono vecchi quanto il mondo, ci si potrebbe aspettare che nel tempo siano state sviluppate buone pratiche per affrontare questo problema; eppure non è così. Perché non è così?
Il dolore cronico è un problema di salute complesso. Ha elementi biologici, psicologici, sociali ed economici. Tutti questi aspetti sono correlati tra loro e questa relazione dipende dalle circostanze, dalle aspettative e dalle capacità di ciascun individuo. Parliamo solo dal punto di vista della persona con dolore cronico. Questa interazione sarà anche influenzata dal modo in cui quella persona è vista dalla società e da quanto bene può affrontare tale controllo. Un’altra sfida importante per le persone con dolore cronico è ottenere l’opportunità di rimanere nel proprio lavoro o di trovare un nuovo lavoro adatto alle proprie capacità. Ciò ha un enorme impatto sulla loro indipendenza finanziaria.
Questo è il motivo principale per cui non sono state sviluppate terapie efficaci. Ciò che è stato sviluppato nel tempo, quando il mondo scientifico ha iniziato a capire che una persona è più di un semplice corpo diviso in parti, sono i programmi multidisciplinari. Ma anche questi programmi non soddisfano i bisogni disparati di tutti i pazienti e spesso vengono sviluppati senza alcun input da parte di persone con dolore cronico o dei loro rappresentanti.
L’indagine ha rilevato che a quasi quattro intervistati su 10 non è stata offerta alcuna terapia aggiuntiva, rimanendo invece sotto la supervisione del proprio medico di famiglia. Come se ciò non fosse abbastanza deludente, quasi otto su 10 non sono stati soddisfatti della terapia offerta, riferendo che non ha soddisfatto le proprie aspettative.
Abbiamo affrontato gli aspetti biologici del dolore cronico e cosa fare al riguardo. Tuttavia, sappiamo che ci sono altri componenti che influenzano la qualità della vita delle persone con dolore cronico. I fattori sociali giocano un ruolo importante in questo: la situazione familiare del paziente, come reagiscono i suoi vicini, amici, parenti e datori di lavoro, e così via; e situazioni quotidiane che confrontano i pazienti con i loro problemi. Il modo in cui la società e i datori di lavoro si avvicinano alle persone con dolore cronico è stato esaminato dalla Pain Alliance Europe nel suo sondaggio del 2019 sul dolore e i risultati sono, francamente, scioccanti e stigmatizzati.
Nei contesti familiari, l’ambiente in cui le persone dovrebbero aspettarsi di sentirsi “al sicuro”, i pazienti con dolore cronico hanno riferito di essere stati confrontati con approcci stigmatizzati. Dal partner, il tasso è più di quattro su 10. Da parenti e amici, è più di sei su 10. Anche dai caregiver, tre su 10 hanno riferito di sentirsi stigmatizzati.
È chiaro che queste circostanze possono contribuire a problemi psicologici come depressione, ansia e persino tentativi di suicidio.
Ma lo stigma legato al dolore cronico non è solo nei contesti familiari, è ovunque. Le persone hanno riferito di averlo sentito da operatori sanitari, datori di lavoro e colleghi, in attività sportive e ricreative, in ristoranti e luoghi simili, anche in luoghi pubblici in generale in cui l’interazione è anonima. È un problema sociale significativo, aggravato dalla realtà che è invisibile.
Mi sembra di vivere in un paese incivile, si perchè un paese incivile lascia soffrire di dolore cronico tanti soggetti.
Che vergogna.

La ringrazio per il suo commento. Il nostro gruppo è impegnato a lavorare su molti dei bisogni (clinici, ma anche di immagine e relazionali) con cui si trovano a vivere le persone fibromialgiche e a cui lei fa riferimento, in particolare ad es. le ripercussioni nell’ ambito del contesto familiare. Noi pensiamo che la fibromialgia affiori nell’ arcipelago del dolore cronico , ma abbia delle proprie specificità che cerchiamo di conoscere meglio, anche attraverso il lavoro clinico , oltre che con iniziative formative e divulgative. L’ ultima di queste è stato un webinar dal titolo Il dolore incompreso. Prendersi cura delle persone con fibromialgia che si è tenuto il 7 maggio scorso. Se le può interessare la video registrazione del webinar è stata appena postata su YouTube, e nei prossimi giorni sarà possibile accedervi anche da questo sito web. Visto il suo impegno, anche istituzionale, per la comprensione del dolore cronico e il supporto a chi ne soffre, mi auguro che ci possano essere momenti di collaborazione La ringrazio di nuovo e saluto Walter Borsini

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